LE RAGIONI DELLA CRISALIDE
OPERE IN STUDIO
Presso lo studio dell’artista, Meldola (FC)
9 – 30 aprile 2011


LE RAGIONI DELLA CRISALIDE

L’uovo e la crisalide condividono un comune destino: rappresentare simbolicamente la rinascita, lo sgusciare fuori di una realtà autentica lungamente maturata nel nascondimento di sé. Il lavoro di Luca Freschi, che dimora presso il linguaggio arcano e pre-umano di entrambi e ne mima l’eleganza metafisica o la scabra segretezza, è tutto intento a sondare non i nuclei dell’essenza celata bensì le superfici della vita, le segnature di pellicole, le tessiture di bozzoli abbandonati. È d’obbligo ipotizzare con Elémire Zolla che le verità segrete restino sempre esposte in evidenza; anche per questo l’istinto di Freschi ne ha fatto un cacciatore di esteriorità, un collezionista di calchi epidermici. E tuttavia superficie è qui l’antitesi di superficialità: l’ultimo involucro dell’uomo, la pelle, ne riassume la sostanza vera, il mistero. La terracotta accoglie la mappa carnale dello spirito, la riporta alla consapevolezza attraverso la fatica dell’artigiano, la isola nell’aura dell’atto poetico, togliendola dalla vorace quotidianità della disattenzione. La pelle come la lettera rubata di Poe è una verità invisibile pur se riposta davanti ai nostri occhi: Luca ne svela il palinsesto, la sinopia originaria. Eppure la ricerca dell’arte non può andare nella stessa direzione dell’indagine scientifica, con le sue pretese di asettica oggettività; la poesia necessita della contaminazione e l’artista deve aggiungere le proprie impronte ai solchi del soggetto, deve far confluire il suo tempo biologico ed emotivo in quello di un’altra vita, facendo della simbiosi di entrambi (aedequatio rei et intellectus) la reale meditazione artistica. Freschi costruisce un percorso di riflessioni sapienziali e letterarie, mitologiche e religiose intorno alla ricerca di un’identità sfuggente. Un cammino che ha il suo sacrario terminale nel Narciso triste, crisalide lacrimosa, adolescente incapace di suicidio, paralizzato dalla coscienza adulta di non potersi afferrare, di non potersi “sapere”. E il sapere è la cifra: se i gusci restano oggetti curiosi e suggestivi solo la loro ragione, il loro logos permette di leggere la forma evocativa come un destino, il caso come fato (cioè tempo raggrumato, doloroso ma divino). In questo senso va la dedica filosofica a Max Stirner de L’Unico, dove l’ego assoluto è un nudo arlecchino che contempla nei frantumi di una matrice, la morte di Dio e di ogni grembo gestante, l’impossibilità di leggere nel velo del guscio il proprio senso, la fuga dalla condizione di marionetta tragica. Altrove sacri cuori mistici dicono se stessi nello sfaldamento della forma, mentre volti seguono il medesimo destino di dissolvimento dei tratti. La pelle (guscio o crisalide) è una scrittura difficile che si espande intorno a un vuoto, a un che d’indicibile e di leggero, come gli uccelli-giocattolo, simboli arcaici dell’anima, che perdurano al di là dell’involucro frantumato, della gabbia infranta, del corpo ferito, della mappa solcata e per questo indicibilmente belli.

Alessandro Giovanardi
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