MATERIA E MEMORIA
ESPOSIZIONE PERSONALE
Cortile dell’Acero Rosso, Forlimpopoli (FC)
19 – 27 giugno 2010
L’arte è il fatto più reale, la più austera scuola di vita, e il vero Giudizio finale.
Marcel Proust
La memoria del passato è orizzonte di senso della vita presente, se essa è perduta l’uomo è orfano del sé. Esistiamo in un tempo fisico, omogeneo e quantitativo, convenzionalmente scandito in unità e frazioni matematiche ma viviamo di un tempo sensibile, informe e qualitativo, che obbedisce alla sola scansione del moto interiore. È questo il tempo autentico, quello della coscienza e della conoscenza, la cattedrale sommersa del nostro essere-nel-mondo. È questo il tempo da ri-cercare e da custodire. Marcel Proust - che della ricerca del tempo perduto ha fatto slancio vitale e missione artistica - sosteneva che la vera realtà è solo quella custodita dalla memoria e che l’essenza pura di essa giace nel suo essere Ritrovata.
Il percorso poetico di Luca Freschi sembra obbedire ad un’analoga “urgenza” morale che lo porta ad essere, prima che ri-cercatore, un avveduto e previdente custode del presente. Egli non si limita a scavare nell’edificio del suo passato, piuttosto paralizza il flusso del tempo: più che un archeologo potrebbe definirsi un moderno alchimista che perpetua e tramanda la vita contingente e transitoria catturandone l’epifania momentanea. Plasmare è per lui immortalare, arrestare un movimento in una colata di gesso - azione originaria nel processo di lavorazione dell’opera - è volontà di eternare l’altrimenti effimero, è serrato dialogo e sfida con l’oblio. Gli elementi ricercatamente fiabeschi ed ironici rintracciabili nei suoi lavori, quali la policromia delle terracotte, gli smalti dai colori spesso appariscenti, i tessuti antichi o il riutilizzo di scarti industriali, non sono solo puro decoro estetico ma impronta e sigillo di una memoria irripetibile e privata affidata alla materia. Non è un caso che questa sia la terra; sebbene essa sia tra i materiali più durevoli e tenaci (basti pensare all’ottimo stato di conservazione di molteplici reperti archeologici), la sua epidermide porosa, penetrabile, frantumata - peculiarità enfatizzate dagli ulteriori tagli imposti dall’artista - la sottopone alle naturali alterazioni indotte dall’esposizione al mondo. Materia antinomica, la terracotta è insieme longeva e delicata, resistente e sensibile come la vita di cui Freschi denuncia l’ineluttabile finitudine. Eppure è questa fragilità che l’artista invita ad accogliere quale senso ultimo dell’esser-ci: il passato immortalato attraverso la rappresentazione in opera, nuovamente “gettato nella vita” e dunque nella transitorietà, genera un continuum temporale dinamico ed aperto. Così l’eterno ritorna perché esposto nuovamente al finito. Così il tempo è ritrovato.
Geda Jannicelli