OPEN 12
ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE DI SCULTURA ED INSTALLAZIONI
Isola di San Servolo, Venezia
2 settembre – 4 ottobre 2009

DOLLS

Luca Freschi è un costruttore di bambole, di simulacri femminili a cui manca la parola magica, infilata tra i denti, come nella tradizione ebraica, per potersi muovere ed essere comandate, oppure nel caso di Olimpia, la figlia-automa del professor Spallanzani, nel racconto di Hoffmann, per far innamorare col solo battere delle ciglia e l’espressione imperturbabile, sfoggiata ad ogni discorso. Si potrebbe pensare alla magnifica e conturbante ricostruzione in stoffa di Alma Mahler, commissionata da Kokoschka, ad una artigiana di giocattoli dopo il tradimento e l’abbandono da parte di lei, ma in realtà le bambole di Luca hanno la modestia e la castità propria dei manichini metafisici, o delle marionette di legno, con le loro cuffie pudiche e vagamente nordiche che coprono i capelli e la rigidità delle membra, nelle articolazioni da burattini.
I suoi calchi in terracotta colorata sono cocci di corpi ricomposti con la pazienza affettuosa delle porcellane spaccate, involucri di donne a grandezza naturale ma senza il calore e la morbidezza della pelle, che conservano la posa e il volume di persone amate, di amici e parenti che si sono lasciati fasciare e bloccare nel gesso, come fossili di una memoria personale. A volte queste pupe giganti, come le madonne e le sante degli altari antichi, hanno un corredo privato, cucito a mano con la cura di una sposa, oppure nel loro busto nudo e intonacato di bianco come le case mediterranee, ospitano i disegni aerei e festanti dei bambini, segni che a loro volta riproducono nella grammatica fantastica degli esordi, l’immagine di una persona, la visione giocosa, e insieme fondante, dell’altro da sé.

Sabrina Foschini

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DOLLS

Luca Freschi is a maker of dolls, feminine simulacra that seem to be waiting for the “magical word” to be placed between their teeth – just like in the Jewish tradition – to start moving and obeying orders. Or as in the case of Olympia, Professor Spallanzani’s automaton daughter, whose eyelashes blink and unperturbed expression performed at every uttered word made it unavoidable to fall in love with her, as recounted by Hoffmann. Another analogy that might spring to mind is the exquisite but disquieting fabric doll reproducing Alma Mahler that Kokoschka commissioned to a woman toymaker, after Alma betrayed and abandoned the painter. But no. Luca’s dolls have the modesty and chastity of metaphysical mannequins or wooden marionettes. They’re stiff-limbed and hard-jointed puppets wearing decorous, vaguely Nordic looking bonnets that hide their hair.
His painted terracotta casts are fragments of bodies recomposed with the affectionate patience that broken china deserves. They are full size women, cocoons without the warmth and softness of skin, but they preserve the pose and form of the beloved ones – friends and relatives who let themselves be wrapped and blocked in plaster like fossils in a personal memory. Sometimes these giant chrysalises, similar to Madonnas and saints on old altars, have a private dowry hand-sewn with the care of a bride, and in their naked busts as white as plastered white Mediterranean houses, they host the joyful and airy drawings of children, signs which reproduce, in the fantastic grammar of beginnings, the image of a person, a playful, founding vision of the Other than Self.

Sabrina Foschini
 
 
 

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